Corona: a quando l’immunità di gregge?
Anche in questo quarantaquattresimo aggiornamento settimanale forniremo notizie pratiche sull’infezione da Coronavirus, basate sulle domande che ci vengono poste più spesso. Il report non vuole sostituire il ruolo del curante, né quelle della sanità regionale, le cui indicazioni invitiamo sempre a rispettare.
Per chi lo desiderasse, giovedì 1 aprile, il dott. Mario Canciani sarà presente su UdineseTV, canale 110, alle ore 21.00. Si parlerà anche di asma e di malattie allergiche. Poiché non si potranno fare delle domande in diretta, chi avesse dei quesiti, può mandarli anticipatamente a: studio@mariocanciani.com
PERCHÉ SI PARLA SEMPRE MENO DI IMMUNITÀ DI GREGGE?
Perché si è visto che la percentuale ritenuta sufficiente un tempo, cioè il 70%, potrebbe richiedere fino al 90% delle persone immunizzate, sia con vaccino, sia con infezione naturale. Un grosso dubbio è costituito dalla popolazione infantile, che si ammala di meno ma trasmette di più l’infezione: sembra che se essa non verrà immunizzata non si potrà arginare la diffusione del virus. Questo è il motivo per cui si sta sperimentando il vaccino anche in questa fascia di età. Ricordo che il raggiungimento dell’immunità di gregge era nel piano iniziale di USA, Inghilterra e Svezia, che poi hanno ripiegato sulle misure preventive adottate dagli altri Paesi. Per fare un esempio, se in Italia si fosse adottato tal criterio, avremmo dovuto aspettarci almeno 1 milione di morti e il crollo del sistema sanitario.
PERCHÉ NELLA STESSA FAMIGLIA QUALCUNO HA LA FORMA GRAVE, QUALCUN ALTRO È ASINTOMATICO O HA UN BANALE RAFFREDDORE?
Ora abbiamo dati sufficienti per dire che chi si ammala più gravemente produce di meno un antivirale naturale chiamato Interferone, oppure produce anticorpi contro di esso, inattivandolo, o è di gruppo A positivo, o ha ereditato certi geni dei progenitori neanderthaliani. Con l’andare del tempo ci si dovrà concentrare sempre di più su queste persone a rischio, oltre a quelle già conosciute (ultra ottantenni, obesi, diabetici, ipertesi, …).
COS’È LA “LONG COVID”?
Il 10% dei pazienti che hanno superato la malattia continua a presentare, anche dopo parecchio tempo, difficoltà di concentrazione, stanchezza cronica, dolore al petto e ai muscoli, fatica respiratoria. Questa condizione potrebbe essere causata da una serie di motivi: cronicizzazione della Covid, uno stato infiammatorio persistente, una sindrome autoimmune (cioè anticorpi prodotti contro sé stessi) o l’attivazione di alcuni virus fino ad allora latenti nel nostro organismo.
IL CORONA CAUSA PROBLEMI AL CUORE?
Già sapevamo che i cardiopatici e gli ipertesi sono delle categorie a rischio. Ora uno studio inglese ha dimostrato che il 54% di pazienti con una forma grave di Corona ha presentato una miocardite, cioè un’infiammazione del muscolo cardiaco, infarti o forme minori di ischemia. Mentre la miocardite è causata dall’attacco diretto del virus, le altre dipendono principalmente dalle nostre difese, attraverso la formazione di coaguli nei vasi del cuore.
IL CORTISONE È UTILE NELLA TERAPIA DOMICILIARE?
Dopo alcuni dati contrastanti, ora abbiamo sufficiente esperienza per dire che il cortisone è utile solo nei pazienti domiciliari che fanno ossigeno e che non migliorano dopo 72 ore dall’ inizio della malattia. Sono stati quantificati anche i dosaggi: desametasone 6 mg al giorno o farmaci equivalenti (prednisone 40 mg, metilprednisone 32 mg), per un massimo di 10 giorni.
GLI ANTICORPI MONOCLONALI SONO UTILI E ORA POSSONO ESSERE SOMMINISTRATI?
Gli anticorpi monoclonali accelerano la risposta immunitaria al Corona e sono prodotti in serie. Ora sono disponibili anche in Italia e possono essere somministrati entro 10 giorni dall’insorgenza della malattia a pazienti non ricoverati che presentino alcune condizioni di rischio (obesità, malattia croniche respiratorie, renali, cardiovascolari, tumori, diabete mal controllato e altre malattie croniche più rare). Non sono utili nella malattia conclamata o grave.
COS’È IL FARMACO ITALIANO MIRACOLOSO?
È stato appena pubblicato su una grossa rivista medica internazionale il risultato di uno studio che ha dato ottimi risultati. Si tratta di un monoclonale, per ora con un nome in codice, MAD0004J08, che presenta grande potere neutralizzante, bassi dosaggi di somministrazione, iniettabile per via intramuscolare (e non solo endovena, come gli altri monoclonali), efficace sulle varianti inglese, sudafricana e brasiliana.